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Con i tre scritti di materia agiografica qui raccolti, Pietro Aretino chiude la stagione delle opere religiose nel segno della committenza di Alfonso d'Avalos, marchese del Vasto e governatore di Milano. Dopo i Salmi, l'Umanità di Cristo e il Genesi (riuniti nel primo tomo di questo stesso volume), le Vite di Maria Vergine, di santa Caterina d'Alessandria e di san Tommaso d'Aquino costituiscono, oltre che l'estremo e illusorio assalto alla porpora cardinalizia, anche lo strumento, talora sottilmente ricattatorio, per sollecitare la corresponsione delle rate della pensione che Aretino vanta sulle casse milanesi. Composte e date alle stampe in successione nello stretto giro di anni che va dal 1539 al 1543, le Vite rappresentano uno snodo fondamentale nel percorso di ricerca stilistica ed espressiva su cui Aretino ha orientato la riscrittura della materia sacra sin dalle prime parafrasi bibliche. Lo scopo primario resta quello di coinvolgere emotivamente il lettore, restituendo alla sensibilità e al gusto cinquecenteschi alcuni momenti topici della storia religiosa; ma differente è qui la declinazione degli espedienti artistici adoperati nella narrazione degli eventi sacri. Il patetismo a tinte forti, il descrittivismo pittorico e l'impiego diffuso della similitudine assumono nelle agiografie una coloritura peculiare che si vena per larghi tratti delle tonalità più cupe dell'ascetismo, il tutto sempre all'interno di una trama retorica energicamente strutturata.